Seguici:

Il contagio della fede. Dialogo tra Giovanni Mosciatti e Andrea Lonardo

Eugenio Dal Pane

Durante un pranzo col mio Vescovo racconto del nostro lavoro, della nuova edizione de Le domande grandi dei bambini, di ciò che stiamo pubblicando per aiutarci a cogliere cosa è accaduto e cosa l’umanità sta vivendo. Con una certezza da cui partire: la fede è ciò che risponde alle grandi domande che i bambini e gli adulti hanno in cuore. Abbiamo chiamato don Andrea Lonardo. Accoglie il nostro desiderio: la fede è per tutti e va comunicata tutti. Così nasce l’incontro Il contagio della fede, che vi riproponiamo oggi.

Primo passaggio: il tempo delle grandi domande

Giovanni Mosciatti

Stiamo vivendo in una situazione inedita, non ho mai vissuto in una realtà così incredibilmente drammatica ed epocale. E poi in pochissimi mesi. La pandemia segna la vita di tutti noi e della Chiesa. La cosa che mi ha più colpito è l’intervento del Papa lo scorso 27 marzo, quel punto è discriminante, ha posto la questione seria su tutta la nostra vita. Il Papa ci ha detto che siamo tutti sulla stessa barca e siamo di fronte a delle domande che magari pensavamo di aver come scartato, di aver messo da parte ma sono venute fuori in tutta la loro virulenza, in tuta la loro forza: domande sulla vita, sulla morte, sul senso, sul senso del tempo, dello spazio, degli incontri, dello stare insieme, sul senso della vita. E questo è veramente da una parte drammatico perché siamo stati chiamati a rispondere a stare di fronte a queste domande ma nello stesso interessantissimo perché finalmente siamo potuti stare di fronte a ciò che è il veramente cuore della nostra vita. E così la pandemia ci ha trovati scoperti, nella posizione con cui siamo normalmente di fronte alla vita, eravamo come in una bolla ora siamo davvero allo scoperto. E questo è interessante, abbiamo bisogno di scoprire come queste domande costituiscono il cuore della vita. Ci siamo ancora, non ne siamo usciti in maniera tranquilla, dobbiamo fare ancora molta strada ed essere di fronte a queste domande e a questa incisività della realtà che ancora ci spinge.

Andrea Lonardo

Questa cosa la condivido molto. Ai catechisti e ai genitori, io dicevo: “Dobbiamo essere noi a dire come si muore, come si vive, come si nasce”. Tutti adesso danno risposte metodologiche – per questo la catechesi è così importante – mentre in questo momento dobbiamo rasserenare i nostri bambini, ragazzi, giovani. Questo è il nostro compito di adulti. E dobbiamo anche dire come trovare il gusto delle cose. Noi stiamo andando verso il peggio e questo creerà problemi concreti, ma m’interessa prima la questione: cioè l’adulto e non solo l’adulto cristiano.

Il problema di oggi non è solo la catechesi, anzi la catechesi è l’unica che ha il coraggio di dire che le domande della catechesi sono vere. In questi giorni stiamo lavorando su Raffaello perché è l’anniversario della morte. Raffaello era il maestro della bellezza, dell’armonia e morì a 37 anni e provocò un grande shock. Anche oggi siamo in un tempo di shock, tutto quello che abbiamo deciso non va più bene. Che cos’è la vita? Come può essere bella nella fragilità?

E dietro c’è “l’infantilismo” che riguarda la catechesi in generale e che i libri affrontano. La catechesi propone attività, passatempi, giocherelli, cruciverba che non fanno mai emergere la paura, la gioia, le domande vere dei bambini. Noi invece diamo come consiglio ai catechisti questo: “Prendete una scatola di scarpe, coloratela, mettetegli un taglio, fate mettere dentro le domande che i bambini hanno durante la settimana, non nella riunione”. Mi ha colpito una domanda di una dirigente di scuola nel bergamasco che mi ha detto: “Abbiamo fatto le cose a distanza, la didattica ma dopo una settimana non funzionava più niente perché sono incominciati a morire i nonni e i bambini dicevano: “Che senso ha studiare? Perché devo studiare se non so cosa succede a casa mia?”. I bambini hanno queste domande, le prime domande sono sulla scienza e la catechesi non le affronta mai: “Che differenza c’è tra l’uomo e la scimmia?”, “Con la scienza si può conoscere tutto?”, cioè perché io oggi non posso conoscere ciò che mi accadrà domani? Siamo in un periodo in cui la persona si accorge che la scienza è fondamentale – speriamo che ci dia i vaccini quanto prima –, però poi la domanda è “Come si fa a essere felici? Oggi vale la pena studiare?” Un bambino una volta mi disse: “Se tanto la vita è breve perché devo studiare?”.

Sono domande meravigliose che portano a una riscoperta di una catechesi che deve ascoltare quello che i bambini pensano. Spesso la catechesi non ha in mente i veri bambini, sarebbe interessante capire che domande hanno oggi i bambini.

Giovanni Mosciatti

A giugno abbiamo fatto una riunione con gli insegnanti di religione e uno di loro ha detto: “Mi sono scoperto ad avere le stesse domande che hanno i bambini. La lezione di religione è stata interessante perché io e loro avevamo le stesse domande e cercavamo insieme”.

Andrea Lonardo

I bambini amano essere trattati da grandi, noi dobbiamo sapere che sono bambini che amano. Uno che dice “Diciamo la preghierina” anziché perché “Diciamo la preghiera” distrugge la catechesi. Ed è importante che il catechista preghi, perché il catechista non è quello che fa pregare il bambino. La preghiera non è una cosa che io faccio fare ma la preghiera è una cosa che io vivo e questa cosa porta alle domande grandi.

Ai bambini è bello parlare del futuro in senso positivo. “Voi non andate a scuola per prendere un bel voto. Voi dovete imparare l’italiano perché un giorno sarete padri, sarete madri e dovrete insegnare delle poesie la sera, raccontare delle storie, leggere un libro. Le domande grandi dei bambini sono stati pensati perché i genitori li leggano la sera con i bambini prima di addormentarsi. “Se voi non imparerete l’italiano, non potrete leggere delle storie”. Quando i bambini sentono queste cose, improvvisamente si fermano. E mi accorgo che è la prima volta che qualcuno gli dice che diventeranno grandi, che quello che fanno non è per avere piccoli premi, ma perché dovranno decidere se far nascere dei bambini, se farli battezzare i figli. Ai bambini questo discorso piace tantissimo. Quanti figli avrete? “Non è importante saperlo adesso, ma io so che un giorno voi bambini vi domanderete se vale la pena far nascere un bambino e se vale la pena dirgli che la vita ha un senso. Oppure voi gli direte che la vita non ha senso, che Dio non c’è, che c’è speranza. Questa è la meraviglia della catechesi”.

Eugenio Dal Pane:

Secondo passaggio: il contagio della fede

Questo è un tempo che ha ripulito l’aria. Io sono stato profondamente colpito dalla testimonianza che ci ha dato il Papa nei due mesi più drammatici, dall’indimenticabile momento in Piazza San Pietro, ai momenti della settimana santa fino alla veglia di Pasqua, le meditazioni in santa Marta o per il Regina Coeli tanto da raccogliere tutto in un volume, Il contagio della speranza (Itaca Edizioni).

Il Papa ha preso su di sé il dramma che le persone stavano vivendo e ha fatto sperimentare la vicinanza di Dio. A questo popolo il Papa ha indicato la fede come unico fondamento della speranza davanti al dramma del vivere. A me pare che non si possa prescindere da quanto è accaduto: o la fede è proposta come risposta alle domande più profonde che vivono nel cuore dell’uomo oppure sarà sempre meno presa in considerazione. Ma questo apre ad una profonda domanda: come si trasmette la fede?

Giovanni Mosciatti

Si comunica quello che accade in me, nella vita. Ecco perché parliamo di contagio, perché non è tanto una questione di parole ma è come uno che ti dicesse “Guarda. Vieni e vedi”. Questo rimane sempre come l’invito potente a rendersi conto di qualcosa che c’è, che c’è adesso, a una presenza viva ora che io vedo, che io sperimento. ‘Vieni e Vedi’. È interessante perché non bisogna aver paura di far vedere quel che accade in noi. ‘Vieni e Vedi’. Vedi che cosa sta accadendo nella mia vita, vedi in questo momento di desolazione e tristezza dove io sto guardando. Questa è la cosa più importante, ecco questo contagio da persona a persona. Ancora di più viviamo un tempo in cui questo contagio è da persona a persona. 

Andrea Lonardo

Per me è fondamentale che il catechista oggi non abbia paura di dire ai bambini anche la sua paura e insieme dire la sua speranza. Cioè il catechista non può fare un discorso che è astratto, ma la teologia che ci deve essere lo porta in questa realtà concreta che è la sua vita. Io sono appassionato di catechesi, quando si usa la parola esperienza in catechesi spesso la si confonde con le attività. Cioè si dice che la catechesi esperienziale sia fare dei cruciverba, dei giocherelli, delle domande a quiz, fare un gioco con il filo. Invece l’esperienza per esempio è che la catechista parli dei suoi figli, di suo marito, che un bambino veda che delle famiglie anche in tempo di virus fanno nascere altri bambini. Cioè l’esperienza non è un laboratorio dove la vita viene prodotta in maniera astratta. Oggi usiamo spesso la parola laboratorio, che è interessante ma laboratorio è come specie di esperienza artificiale. In una parrocchia dove ci sono famiglie con tanti bambini, un bambino impara che la famiglia ha tanti bambini perché li vede.

Inoltre, ha bisogno di grandi contenuti. Cioè dobbiamo ritornare a riscoprire che il bambino vuole scoprire il perché di questi grandi domande: “Da dove viene il male”, “Da dove viene la vita”, “Perché sono nato proprio io”. Noi abbiamo una catechesi che ha perso sia l’esperienza sia i grandi contenuti. Spesso i catechisti non sanno raccontare la creazione, chi è Adamo, cosa sono i 7 giorni. E una cosa dell’esperienza che aiuta tantissimo è l’anno liturgico cioè la domenica è veramente il cuore di quest’esperienza, perché l’esperienza non è solo del singolo ma è della Chiesa. L’anno scorso in tanti hanno fatto la lavanda dei piedi nelle case, hanno baciato il crocefisso il venerdì santo, hanno chiesto ai genitori di benedire la mensa il giorno di Pasqua. Quest’anno stiamo pensando a come insegnare ai genitori a fare meglio il presepe a casa, perché se un papà ama il presepe, quella è vera esperienza, cioè si trasmette la fede attraverso quella realtà grandissima vivendola.

Molti di noi riscopriranno una catechesi per esempio fatta la domenica dopo la messa. A volte sarà impossibile in parrocchie molte numerose avere tanti gruppi di bambini, non ci sono le stanze, non sarà possibile fare gruppi numerosi, a volte si potrà fare solo 20 minuti dopo la messa in cui tutti avranno letto qualcosa, faranno qualche domanda e il vescovo o il prete potrà dire una parola. La riscoperta di queste cose essenziali è di importanza assoluta, tanto più quest’anno.

Giovanni Mosciatti

È decisiva, paradossalmente è un tempo favorevole perché la realtà ci costringe.

Andrea Lonardo

Se siamo attaccati alla vita, di cosa dobbiamo parlare se non della serietà della vita? Ma un’altra cosa interessante è l’ottica della fede, l’unica realtà che permette di dire. Io lo direi ai bambini e ai genitori ancora di più. I genitori vanno incontrati la domenica, anche solo 15-30 minuti per scoprire che l’anno liturgico è il più grande capolavoro che la chiesa abbiamo mai inventato. Chi conosce l’anno liturgico conosce Cristo. E devono capire che nella vita c’è l’insieme del bene e del male, cioè nella vita non ci sono mai il bene e il male presi separatamente. Questo è un tempo terribile, nel virus si vede il demoniaco, cioè qualcosa che ti toglie il gusto. Una delle prime cose che fa il virus è la perdita del gusto. C’è  il male che toglie il gusto e c’è la domanda “Ma il gusto è bello, viene da Dio, dobbiamo ritrovare il sapore delle cose”. Nella vita queste due cose non sono mai totalmente separate.

Eugenio Dal Pane

Terzo passaggio: la catechesi formato famiglia

Il catechismo è una delle attività ordinarie e più importanti di una parrocchia. Ma alla cronica difficoltà di trovare un numero adeguato di catechisti, si aggiunge adesso una serie di problematiche che possono essere viste solo come un problema, ma potrebbero essere colte come l’occasione di pensare nuove modalità. La famiglia è il primo luogo dove si può respirare la fede. Come la famiglia deve essere coinvolta? Perché l’obiezione è che la famiglia non crede, ha situazioni difficili e un’obiezione viene fuori da situazioni reali.

Giovanni Mosciatti

Fino adesso è stato drammatico perché c’è sempre stata la delega. La famiglia delega i catechisti, il parroco, gli specialisti a fare il catechismo per i propri ragazzi. Questa situazione costringe le famiglie a porsi la domanda: “Tu cosa doni ai tuoi figli? Che speranza gli offri?” Ed è importantissimo perché se le sue domande sono le mie stesse domande, questo ancora di più per la famiglia. Che non abbiano paura di dire: “Le mie domande sono anche quelle di mio figlio”. E quindi prendere in mano uno strumento: il Vangelo, un libro, Le domande grandi dei bambini,  un testo in cui tutti – mamma, papà e bambino – sono di fronte a qualcosa di più grande e tutti si aiutano a guardarle insieme. Alcune famiglie possono essere di fronte a delle difficoltà per tante ragioni; qui i catechisti potrebbero essere di aiuto, potrebbero ad esempio andare a casa o gruppi di case e poter offrire loro come si fa a fare una cosa così. E aiutarli a capire come affrontare questa cosa. E se tanti mesi dobbiamo stare dentro, la realtà ci costringe e ci costringe ad andare a fondo della nostra vita.

Eugenio Dal Pane

Normalmente quando si parla di catechismo, si parte da una verità da comunicare. Invece stiamo dicendo: Partiamo dalla nostra umanità e questa ce l’abbiamo tutti, i bambini, i grandi, credenti e non credenti. Perché il primo dato è che la mia umanità porta con sé quelle domande: “Perché vivo? Perché lavoro? Perché studio? Che senso ha la vita? Perché il dolore?”. Forse si tratta di ripartire da questo livello che è uguale in tutti, che è presente in tutti e offrire l’ipotesi della fede.

Andrea Lonardo

C’è un problema culturale che dobbiamo sciogliere e c’è la necessità di una proposta concreta che superi il problema. Il problema culturale è questo: siamo troppi abituati a pensare e dire ai genitori che l’educazione è fatta da specialisti. C’è un problema nel bambino, lo psicologo, il pedagogista, l’esperto di BES, etc Invece dobbiamo recuperare – ed è una questione di mentalità e anche di fede – che il tuo amore, il tuo averlo generato è la forza più forte che ti fa essere ascoltato dal bambino. I bambini, i ragazzi, gli adolescenti sono stati tre mesi in casa con i genitori e tutti dicevano che mai un’adolescente sarebbe stato in grado di stare in casa con un genitore. Cioè i nostri ragazzi di fatto sono stati in casa e non sono stati così male. Io farei dei complimenti ai genitori perché in questo momento sono dei lottatori, stanno affrontando delle fatiche inenarrabili, con la didattica a distanza, i bambini delle elementari che non sanno usare il computer, poi hanno il datore di lavoro, lo smart-working, devono prendere l’autobus. Il genitore sta dimostrando una capacità di amare – e noi dobbiamo incoraggiarlo perché viene scoraggiato – tutti gli dicono che non è capace, che i ragazzi non lo capiranno mai.

La seconda cosa è che ci vuole una modalità concreta per fare quello che voi dite. Per esempio, serve un libro sennò manca la freccia che serve. Ho trovato sui social l’immagine di un libro “Il signore degli anelli” di Tolkien, in cui un bambino nell’ultima pagina ha scritto “Oggi, papà, Luca e Giulio dopo circa due anni e mezzo hanno finito di leggere Il Signore degli anelli. Luogo e data e le tre firme. E sotto scrive “È stata una bellissima saga, secondo me seconda solo a Harry Potter”. Un papà trasmette la fede tramite il fare qualcosa, ad esempio il presepe. Le domande grandi dei bambini è un libro pensato perché il genitore la sera possa dire “Leggiamo insieme”, senza che il catechista glielo dica, e il bambino possa dire “Leggiamo ancora”. Servono degli strumenti per fare le cose. Noi non diamo le armi al genitore per combattere. Un genitore, un adulto, un giovane ha bisogno anche di qualcosa che possa usare nella maniera più semplice. Per me leggere dei libri. Come si fa ad affrontare l’anno senza avere un libro da proporre? Questo tempo ci porta a dire “Che libro diamo ai genitori e ai bambini?”. La bellezza di questo libro è che ha una  parte scritta in grande per i bambini e una parte in piccoli per i genitori e però ognuno legge la parte dell’altro senza che glielo dica. Anche un altro libro, ma bisogna avere un libro.

Giovanni Mosciatti

È compito di Eugenio indicarci e aiutarci a scovare libri che siano testimonianze, letture della realtà e capacità di avere armi per stare di fronte alle cose.

Eugenio Dal Pane

Mi ha colpito moltissimo il messaggio del Santo Padre Francesco per la 54ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2020 perché ha evidenziato all’inizio del suo discorso che abbiamo bisogno di storie così come di cibo, cioè abbiamo bisogno di storie per potere affrontare le sfide della vita.

Rispetto a questo libro che abbiamo ripubblicato in una nuova edizione sono entusiasta perché mi accorgo in maniera molto semplice, e quindi affrontabile da tutti, che ricostruisce una coscienza di sé, una stima di sé. Quando all’inizio dice “Qual è la differenza tra l’uomo e il resto della realtà?”, dice che c’è un salto tra l’uomo e tutto il resto: davanti a questo, uno potrebbe cominciare a guardare la propria vita con un grande stupore.

Andrea Lonardo

Un’altra arma che abbiamo a casa e che abbiamo perso è che servono non solo delle cose ma delle immagini belleperché non si può mortificare con immagini brutte il cammino di bambini e genitori. Noi non abbiamo più la capacità di trasmettere la fede con delle immagini belle. Ne Le domande grandi dei bambini abbiamo voluto un libro bello perché la fede è vera perché sa generare bellezza, e un itinerario di annunzio della fede deve aiutare gli occhi a contemplare e a stupirsi. Per esempio, abbiamo delle chieste che sono affrescate in maniera meravigliosa; sarebbe bello personalizzare il libro con il ciclo più bello in ogni diocesi. 

L’idea di questo libro è nata così: Padre Maurizio mi ha chiamato e mi ha detto: “Andrea ho un’idea, mi devi dire di si. Non basta parlare di catechesi, ma bisogna tradurre quello che noi suggeriamo – una catechesi non infantile, fatta con delle immagini di qualità, in cui i genitori abbiamo delle parole per loro – in qualcosa che faccia”. Gli ho detto “Si va bene, lo facciamo”. Abbiamo cercato varie case editrice, tutte sono fissate con il sussidio, la scheda, il cruciverba, etc e noi non lo volevamo questo, perché i catechisti sanno già fare come si disegna l’anno liturgico, i colori. Noi dobbiamo dirgli perché Gesù vuole che lo mangiamo. Abbiamo chiamato Eugenio, gli abbiamo detto “Vogliamo fare questa cosa” e lui ci ha detto “Va bene lo facciamo”. E siamo rimasti contentissimi.

Eugenio Dal Pane

Io ricordo il primo incontro, avevamo lo stesso desiderio di fare una cosa bella. Io penso che se noi comunichiamo una cosa vera deve essere anche bella. Non possiamo dire dato che è vera anche se è così così va bene lo stesso. Anzi.

Stavo guardando in questi giorni che noi facciamo anche libri per la scuola. Abbiamo fatto lo stesso formato, la stessa carta per dire che il contenuto della catechesi non è di serie b o di serie c rispetto a ciò che si affronta a scuola, ma ha quanto meno la stessa dignità. Per cui noi abbiamo il libro di prima elementare di 160 pagine e questo sussidio della nuova edizione di 160 pagine. Questo contenuto non è un giochino, una favoletta. Voi dicevate “Basta con dei catechismi che presentano Gesù o la Madonna come dei bamboccini e non si capisce bene la differenza tra la bambola e la Madonna”. La scelta di dire “Facciamo immagini belle, suggestive, prese dall’arte” mi ha trovato favorevolmente d’accordo. È lo stesso criterio che usiamo in tutti i nostri libri, nei libri per la scuola, perché una cosa che ho imparato nel dialogo con alcuni autori è che un bambino, anche il più problematico, da che cosa può essere colpito se non dalla bellezza?  L’altra cosa condivisa totalmente con voi è l’idea di trattare il bambino come uno che capisce ben poco e quindi bisogna dargli un contenuto sempre più basso per tenerlo buono. Mentre mi diceva un insegnante che dal punto di vista dell’intrattenimento, fuori c’è qualcosa che nell’immediato è molto più attrattivo. Noi dobbiamo sfidare i bambini e i ragazzi sulla bellezza, sulla verità che dev’essere attrattiva e non può non avere dentro la mia passione. E quel giorno ci siamo riconosciuti appassionati a quello che facevano, io come editori voi come autori.

Andrea Lonardo

Noi vogliamo che Le domande grandi dei bambini sia un libro. Uno non deve usare quelle unità, i catechisti possono utilizzare le immagini e i genitori leggere il libro a casa quando vogliono. Cerchiamo di farli uscire dall’idea che il libro va seguito tappa per tappa, ma teniamo ferma l’idea che serve un libro con delle immagini belle, con parole significative, che scioglie i nodi della fede, fa capire le critiche alla fede. Questo è importante. Tutti usano catechismi che chiamano sussidi, anche le fotocopie seguono un libro. Non bisogna vergognarsi di dire che un libro è bello, dev’essere bello.

Eugenio Dal Pane

Siamo entusiasti di questo libro. La sua bellezza è che non ha la preoccupazione del dettaglio ma di far capire cos’è il cuore della fede, cos’è l’essenza, perché vale la pena credere. E in questo senso non ha la preoccupazione di dare istruzione o far fare delle attività, ma propone un percorso che va incontro alla ragione dei bambini. Io adesso sono nonno e vedo le domande che fanno la mia nipote più grande e l’altro nipote un po’ più piccolo, sono impressionanti. Ad esempio: “Come faccio a prendere appuntamento con Gesù? Come si fa a vedere Gesù”. È una domanda che mi fa venire i brividi perché vuol dire che un bambino sente l’esigenza del divino. Oppure quando ha visto morire due bisnonne nell’arco di poco tempo ha detto “È andata in cielo” e poi “Ma io mamma non voglio che tu vada in cielo”. Quindi i bambini hanno le domande grandi della vita. E noi gli facciamo fare il disegnino o il giochino. Questo secondo me è il delitto: anziché prendere sul serio quelle domande le ridicolizziamo perché noi stessi magari facciamo fatica a starci di fronte.

Don Giovanni

È questo il dramma. Siamo noi i primi che scartiamo la domanda, che ridicolizziamo o che guardiamo da un’altra parte. Questo è il dramma della fede oggi. La pandemia ci costringe, la realtà ci costringe.

Eugenio Dal Pane

È arrivato un commento che dice “I genitori sono i primi catechisti”.

Se guardiamo alla nostra esperienza, dov’è che noi abbia respirato la fede? Io innanzitutto penso a mio padre e mia padre. Quando prima don Andrea diceva di questo applauso ai genitori è vero: i genitori hanno scoperto il meglio di sé, hanno scoperto che i bambini stanno volentieri con loro e quindi hanno recuperato un ruolo che forse a forza di esperti avevano quasi smarrito. Invece secondo me contiene una profonda stima dei bambini e dei genitori, una stima del loro cuore e della loro ragione. Per questo sono stato molto colpito quando don Giovanni ha detto in questo dialogo con me “Ma forse sarebbe interessante proporre alle famiglie di leggere un libro e questo diventa la forma di catechesi possibile”. Ma forse è anche una strada molto interessante, perché il grande problema delle parrocchie che i bambini finito il catechismo ‘dell’obbligo’ dopo se ne vanno. Ma perché dovrebbero rimanere se non c’è un affronto reale della loro domanda, se non si rendono conto che tu quando parli loro non li tratti a bambini, ma da grandi per cui stimi la domanda che ti pongono. Un po’ come si dice agli adolescenti “Adesso sei giovane, ma quando sei grande capirai che la vita è problematica”.

Tutto il mio lavoro è che anche attraverso i libri uno possa scoprire che la vita è drammatica nel senso letterale del termine, è un’azione eroica, ma non è disperata, ha delle sue ragioni, ha la sua bellezza, la sua possibilità di cammino. Per cui io sono gratissimo a don Giovanni e don Andrea della serata perché il nostro desiderio è nel nostro piccolo di poter dare il contributo in questo momento drammatico e anche bellissimo che sta vivendo la chiesa e sta vivendo la società. Perché nei momenti di crisi – lo dico anche da imprenditore guardando cosa succede nella mia azienda – si è costretti a capire cos’è essenziale. Questo mi sembra il grande valore di questo momento, non ce lo siamo andati a cercare, c’è stato dato. Ma come ha detto il Papa in piazza San Pietro, il Signore ci sta facendo un bell’appello, di scegliere cos’è essenziale e cosa non lo è. E rispetto alla catechesi mi sembra una riflessione davvero interessante da fare.

Andrea Lonardo

Molti hanno chiesto perché c’è una nuova edizione, che è  diversa in due volumi mentre quella di prima in era in tre. Il libro è identico, non cambia niente nella sostanza. Il libro precedente era fatto in tre volumi: abbiamo scritto prima il primo che era l’idea che bisogna dire subito perché siamo cristiani, proprio considerando che la persona non ha la fede. Il vecchio primo volume è il cuore della fede: Perché l’uomo cerca Dio? Perché l’uomo non lo può trovare se Dio non si rivela? Perché Dio si rivela, come si rivela? Perché Gesù è al cuore di questa rivelazione?

Nella nuova edizione abbiamo tenuto tutta la prima parte del primo volume e abbiamo anticipato il capitolo sulla preghiera, sui comandamenti e la confessione che in molte parrocchie si celebra alla fine del primo anno. Invece tutti gli altri capitoli del secondo e del terzo volume sono finiti nel secondo attuale volume che guarda continuamente alla messa, all’Eucarestia. La nuova edizione è un riposizionamento delle varie parti, ma non c’è una parola in meno e un disegno in meno e neanche uno in più. È un volume in cui lo stesso materiale è presentato per l’utilità di tante parrocchie che hanno due anni di cammino in due anni e non in tre.

Eugenio Dal Pane

Abbiamo cercato di andare incontro alle esigenze delle parrocchie e delle famiglie perché ciò che ci sta a cuore è di poter fare un servizio reale.