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Il contagio della fede. Catechesi formato famiglia nel tempo delle grandi domande

Fa impressione riflettere su quanto un virus invisibile stia modificando la vita del mondo. Ciascuno di noi si è trovato destabilizzato, sono emerse domande che in tempi “normali” potevano essere soffocate, sulle quali si poteva sorvolare: che cos’è la vita, per che cosa vale la pena vivere, cosa sostiene la vita nei momenti drammatici che non risparmia a nessuno?
La vita stessa della Chiesa ha dovuto fare i conti con una situazione inedita. Quando mai avevamo fatto Pasqua ciascuno nel chiuso delle proprie abitazioni? E anche la ripresa pastorale è all’insegna di una grande incertezza. Un dato è evidente: tanta gente ha paura e la frequenza alla Messa domenicale è diminuita. Le attività che solitamente riprendevano a settembre, prime tra tutte il catechismo, sono in discussione o più difficili da realizzare. Bisogna prenderne atto: non si può continuare a fare come si è sempre fatto.

I momenti di crisi ci sono dati per vagliare e scoprire ciò che è essenziale da ciò che non lo è. Il rischio è di aspettare che tutto torni come prima – non accade mai –, oppure di cedere allo smarrimento. In realtà già dal 27 marzo papa Francesco ci ha dato un giudizio che illumina la strada: ci è dato un tempo di scelta in cui riscoprire ciò che conta.
Ma il 27 marzo in Piazza san Pietro abbiamo visto anche un metodo, che nei momenti di smarrimento il gregge volge lo sguardo al pastore, attende il suono della sua voce e parole che rischiarino il cammino. Nei momenti difficili della pandemia i cristiani hanno guardato al Papa, lo hanno seguito nelle messe di Santa Marta. Quando la vita mette alle strette, ogni struttura mostra la sua inadeguatezza; forme tradizionali o consuetudini che anno dopo anno erano tirate fuori del cassetto non sono più in grado di vincere il senso di smarrimento e di paura che ha invaso il cuore delle persone.

Di fronte a questo cosa ha fatto il Papa? Ha guardato in faccia lo smarrimento, ha mostrato perché siamo in preda alla paura e privi di immunità davanti alle circostanze difficili della vita, e ha indicato la fede in Cristo come sicuro fondamento della vita.
Se la ripresa pastorale non ha il coraggio e la lealtà di partire dalle grandi domande che questo tempo ha fatto emergere, è destinata a sicuro fallimento. Perché un uomo dovrebbe essere attratto da una Chiesa che si limiti a proporre iniziative, intrattenimento, gesti devozionali se non ha il coraggio di scommettere su ciò che è essenziale nel cristianesimo, l’annuncio di Cristo, che si è incarnato, è morto e risorto, e vive in mezzo a noi?

Ciò di cui le persone hanno bisogno è esattamente questo, del contagio della fede. La parola contagio è diventata familiare. Essa indica qualcosa che si trasmette nel rapporto da persona a persona; qualcosa che è in me si trasmette all’altro attraverso una prossimità. Così è nato il cristianesimo; così si diffonde. Anche oggi. Questa situazione di crisi può essere l’occasione per un nuovo inizio che punti sul cuore della fede il cui annuncio in ogni diocesi è compito proprio del Vescovo.
Proprio nel dialogo con don Giovanni è maturata l’idea di una conversazione tra lui e don Andrea Lonardo, per undici anni direttore dell’Ufficio catechistico della Diocesi di Roma, di cui quattro anni fa Itaca ha pubblicato un sussidio per il catechismo in preparazione alla prima comunione, intitolato Le domande grandi dei bambini. Un libro che parte non dalla dottrina o da definizioni, ma dalle domande grandi dei bambini per mostrare come la fede sia la risposta adeguata alla profondità del loro cuore. E a quello dei loro genitori. Un libro da leggere insieme in famiglia in un cammino comune di genitori e figli.

Eugenio Dal Pane, direttore editoriale di Itaca